Pubblichiamo alcune prime riflessioni su Dignitas infinita (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2024/04/08/0284/00588.pdf), e ci ripromettiamo interventi successivi più approfonditi su questo o quel capitolo. Ci sembra importante questa difesa della inviolabile dignità della persona umana, di chiunque, da parte della maggiore autorità dottrinale cattolica.

La guerra

Il n. 38 tratta della guerra. «Un’altra tragedia che nega la dignità umana è il portarsi [protrarsi ?] della guerra…». La guerra attacca la dignità umana a breve e a lungo termine.  «pur riaffermando il diritto inalienabile alla legittima difesa, nonché la responsabilità di proteggere coloro la cui esistenza è minacciata, dobbiamo ammettere che la guerra è sempre una “sconfitta dell’umanità”. Nessuna guerra vale le lacrime di una madre che ha visto suo figlio mutilato o morto; ecc. ». Qui sembra che la guerra sia l’unico mezzo di legittima difesa, e rappresenti il dovere di proteggere le esistenze minacciate! È strano che manchi anche un solo cenno alla difesa nonviolenta (esperienza storica efficace) e ai mezzi della comunità internazionale per prevenire e fermare le guerre. Si parla di “campo di battaglia”, che non esiste più nelle guerre attuali, tecnicamente sconfinate. È importante l’affermazione, nel n. 39: «per costruire la pace è necessario uscire dalla logica della legittimità della guerra». Ecco, oltre le autorevoli esortazioni morali citate, sarebbe giusto negare il diritto e l’interesse degli stati di preparare e attrezzare poderosissimi strumenti di guerra, che in guerre effettive trovano quasi necessariamente impiego. Non basta esortare la potenza a non offendere la dignità umana: occorre affermare che non è umana quella potenza che minaccia, offende e tradisce l’umanità, persino l’umanità di chi la esercita.

Eutanasia e suicidio assistito

Il n. 51 della Dichiarazione tratta dell’eutanasia e del suicidio assistito, fenomeno « più silenzioso ma che sta guadagnando molto terreno». Le leggi che ne riconoscono la possibilità «si designano a volte come “leggi di morte degna”», cioè «coerenti con il rispetto della dignità della persona umana». La Dichiarazione «ribadisce con forza che la sofferenza non fa perdere al malato quella dignità che gli è propria in modo intrinseco e inalienabile, ma può diventare occasione per rinsaldare i vincoli di una mutua appartenenza e per prendere maggiore coscienza della preziosità di ogni persona per l’umanità intera». Questo argomento ci sembra forzato: conosciamo il fatto che la sofferenza pesante e continua può avvilire gravemente sia la coscienza di sé, sia l’attività della persona, sia le relazioni con gli altri, cioè la dignità stessa del sofferente. Anche persone di coscienza evangelica chiara, di cultura teologica, di vita impegnata per il prossimo, in condizioni di grave permanente sofferenza, hanno desiderato la morte liberatrice, con fede nella promessa di Cristo. La vita ci è donata da Dio, ma è affidata interamente alla nostra responsabilità, per spenderla nel servizio, anche per donarla in una causa degna, o in un soccorso ad altre vite umane. È proprio male rinunciare volontariamente alla vita quando la dignità della persona è troppo schiacciata dal male? O quando preservare la proprio vita ad ogni costo è un grave costo per altri? La tradizione morale ammira il martire per la fede, o per la giustizia, che sceglie di morire piuttosto che tradire, o abbandonare: non è questo un esempio di buona morte, di eutanasia?

Giustamente la Dichiarazione ricorda le cure palliative che rispondono al «dovere costante di comprensione dei bisogni del malato: bisogni di assistenza, sollievo dal dolore, bisogni emotivi, affettivi e spirituali». Ma afferma che «un tale sforzo è del tutto diverso, distinto, anzi contrario alla decisione di eliminare la propria o la vita altrui sotto il peso della sofferenza». Ci chiediamo: nei casi seri e consapevoli della dignità propria e di tutti,  si tratta di “eliminare”, oppure di lasciare andare dolcemente una vita che non riesce a finire, riducendone l’avvilimento anche indegno? Forse questo problema, che in passato non ci ponevamo, lasciando tutto nelle mani della natura a volte crudele, va ancora pensato con coscienza sofferta e aperta.

Si deve ricordare che già papa Pio XII aveva distinto dall’eutanasia, e legittimato, «la somministrazione di analgesici per alleviare dolori insopportabili non altrimenti trattabili, anche qualora, nella fase di morte imminente, fossero causa di un accorciamento della vita» (Discorso 24 febbraio 1957 alla Società Italiana di Anestesiologia).

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