In occasione del 27 gennaio, Giorno della memoria, il foglio pubblica un secondo pezzo: dopo la vita di un noto biografo di Hitler, un film-intervista alla segretaria di Goebbels.

Il docufilm in bianco e nero A German Life, del 2016, si basa sulla lunga intervista concessa allora ‒ all’età di 103 anni ‒ da Brunhilde Pomsel, segretaria di Goebbels da 1942 al ’45 e in precedenza, dal ’33, impiegata presso la radio tedesca. Al suo racconto ‒ e alla costante inquadratura del suo volto scavato dalle rughe ‒ si alternano in rapide sequenze innumerevoli materiali di repertorio: immagini tratte dai filmati di propaganda nazisti, americani e sovietici.

Un documento straordinario e un montaggio che (nonostante i grandi eventi siano ben noti) tiene lo spettatore col fiato sospeso. Brunhilde ricorda di essere stata dapprima oppressa in casa, come i fratelli, dall’autoritarismo del padre e dall’educazione a una cieca obbedienza; e d’essere poi diventata, fuori casa, una ragazza per nulla interessata alla politica, “frivola e superficiale” e anche un po’ “stupida”, desiderosa soltanto di un buon stipendio e soprattutto di un riconoscimento sociale: di frequentare, in stanze bene arredate, gente stilosa ed elegante e “curata”, come era a suo dire il ministro Goebbels. Riguardo a lui, ancora si emoziona ricordando come la sua oratoria, in un discorso tenuto nel febbraio del ’43 all’indomani della disfatta di Stalingrado, riuscì ad accendere l’entusiasmo dell’uditorio al punto che centinaia di persone scattarono in piedi ad applaudirlo; e alla sua domanda “Volete la guerra totale?”, gridarono in coro «Sì, vogliamo la guerra totale».

Parla della sua amica ebrea, con cui andava in birreria, e cui pagava la consumazione perché la famiglia (rimasta senza lavoro) era nell’indigenza; e di qualche rara notizia trapelata della “Rosa Bianca”, della censura imperante e della falsa narrazione diffusa nella Germania di quegli anni a proposito dei “campi”. Riconosce di essere stata colpevole, ma come lo era stata la maggior parte dei tedeschi portando al potere Hitler e sostenendolo sino all’ultimo. Dice che non si sarebbe comunque potuto fare nulla «a meno di essere disposti a rischiare la vita». Osserva che forse, se fosse stata più consapevole e “idealista”, non sarebbe sopravvissuta; e invidia i giovani d’oggi, cresciuti in un mondo diverso.

La conclusione che trae dalla propria esperienza è lapidaria: «Dio non esiste, ma il diavolo esiste certamente». Tra i momenti più drammatici, i giorni trascorsi a partire dal 20 aprile ’45 nel bunker di Berlino, sino al suicidio di Hitler seguito due giorni dopo da quello di Goebbels e di tutta la sua famiglia. Poi la resa e cinque anni di prigionia in Russia, e infine la riassunzione presso la radio tedesca.

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