Ritorniamo ancora una volta sul tema del 25 aprile che abbiamo già trattato. A distanza di 80 anni dai fatti, scomparsi tutti o quasi i testimoni, è quanto mai necessario che l’oblio non scenda su queste dolorosissime vicende.

Cumiana 3 aprile. Martinetto 5 aprile. Benedicta 7 aprile. La prima decade di aprile di 80 anni fa è segnata in Piemonte da stragi ed esecuzioni. Delle fucilazioni avvenute al poligono di tiro del Martinetto il giorno 5 è stato curato il ricordo da parte di Mario Chiavario, che più di un mese fa, su queste colonne, ha tracciato un toccante profilo del capitano Franco Balbis, amico di famiglia.

Cumiana, 3 aprile 1944

Ma quell’anno, due giorni prima, il 3 aprile, ebbe luogo la feroce rappresaglia di Cumiana: 51 morti civili innocenti.

Ai primi di febbraio del ’44 una formazione di volontari italiani arruolati nelle SS, al comando del generale tedesco Peter Hansen occuparono la Val Pellice fino all’abitato di Torre. L’alta valle, per un più o meno tacito accordo, restava sotto controllo partigiano. Alcune bande tuttavia fecero colpi di mano mirati, uccidendo diversi esponenti fascisti nella pianura pinerolese. Inoltre una quarantina di partigiani agli ordini dei comandanti Criscuolo, Nicoletta e De Vitis, con un’audace azione contro il reparto delle SS, in Cumiana, fecero molti prigionieri che trasportarono in Val Sangone nella prospettiva di uno scambio con detenuti alle Nuove di Torino. Il comando tedesco ordinò il rastrellamento con l’arresto di 150 uomini tra i 15 e i 75 anni. Diverse case del centro di Cumiana furono date alle fiamme. Fu anche fissato un ultimatum per le ore 18.00 del 3 aprile, ma, in violazione dello stesso, le esecuzioni cominciarono alle 16,30, con la scelta di 58 vittime. Se ne salveranno 7 per circostanze casuali. Gli altri 51 furono abbattuti con un colpo di pistola alla testa dal maresciallo tedesco Richard Rokita, agli ordini dell’ufficiale Anton Renninger, essendosi i militi italiani rifiutati di procedere alla strage. In un disperato tentativo di fuga alcuni civili furono falciati dalle mitragliatrici.

Alle 18,30 si incontrarono a Pinerolo la delegazione partigiana composta da Franco Nicoletta ed Eugenio Fassino con quella tedesca del gen. Hansen. Troppo tardi, la strage era già stata compiuta. Ciò nonostante fu concluso un accordo ed effettuato lo scambio dei prigionieri. Si stabilì anche che Cumiana divenisse “zona neutra”. «I delegati partigiani ebbero la sensazione che il massacro fosse avvenuto senza ordini specifici e avallato a posteriori» (Gianni Oliva, L’ombra nera, p. 30). Tragica ironia della sorte.

Anton Renninger, il cui caso era stato riaperto nel 1998 (per merito del giornalista Alberto Custodero), incriminato dal tribunale militare di Torino, morirà nel 2000 ad Erlangen, libero cittadino senza alcun problema con la giustizia del suo Paese.

A questi avvenimenti ebbe sorte di assistere anche Luigi Cesare Maletto, uno dei fondatori de il foglio in versione cartacea, allora tredicenne e sfollato a Cumiana.

Benedicta, 7 aprile 1944

Molto diverse le circostanze che caratterizzano il terzo episodio, quello avvenuto nei pressi della ex abbazia della Benedicta, fondata nell’XI secolo, antico luogo di sosta per i pellegrini diretti a Roma e in Terrasanta, situata al confine tra Piemonte e Liguria. Confiscata dalle leggi napoleoniche e poi venduta a privati, era utilizzata nella primavera del 1944 da due brigate partigiane come deposito di viveri e armi. Il rastrellamento a tenaglia delle truppe nazifasciste provenienti sia da Campo Ligure che dall’entroterra di Gavi e Voltaggio colse impreparate le formazioni partigiane, appena ricostituite dopo l’inverno e formate in gran parte da giovani fuggiti in montagna per evitare l’arruolamento nell’esercito della Repubblica Sociale. Avevano tra i 18 e i 20 anni, ed erano del tutto digiuni di tattiche di guerriglia. Anche i comandi non brillarono per sagacia in quell’occasione, lasciando le staffette dei vari reparti senza ordini precisi. Quasi tutti i partigiani, rimasti in folti gruppi, anziché sparpagliarsi in piccole pattuglie, furono catturati proprio nei pressi dell’abbazia, già occupata dagli avversari. Nella notte circostanze fortuite peggiorarono la situazione: il sottobosco pulito e la luna piena permisero infatti grande visibilità e resero più difficile la fuga.

Alcuni, in scontri isolati, erano già stati catturati e “giustiziati”, o meglio assassinati, subito dopo. «La pena di morte… deve essere eseguita, se possibile, nel luogo stesso di cattura del disertore o nella località della sua abituale dimora» (Bando del gen. Rodolfo Graziani, ministro della difesa della Repubblica mussoliniana, art. 5). Lo stesso che si era già macchiato dei massacri in Libia, nel 1940, ed in Etiopia, nel 1937.

Tutti gli altri prigionieri furono rinchiusi nella cappella dell’antica abbazia. La mattina del 7 aprile, era il venerdì santo, dopo l’identificazione, furono a cinque per volta condotti sulla riva di un torrente dove operava il plotone di esecuzione. Era composto da bersaglieri italiani comandati da un ufficiale tedesco. Non si seppe mai esattamente il numero delle vittime, tra 140 e 147. E vi furono anche morti di civili innocenti. Particolarmente efferato il caso di alcuni partigiani feriti in azioni precedenti che chiesero aiuto ai contadini. Furono chiusi tutti nella loro cascina e bruciati vivi con i lanciafiamme. Il comandante dell’operazione, Siegfried Engel (cioè Angelo, quindi nomen non omen), fu condannato all’ergastolo dal Tribunale di Torino, anche perché ritenuto responsabile di altri tre eccidi in Liguria. Le autorità tedesche però non concessero l’estradizione. Fu processato anche dal Tribunale di Amburgo, con condanna a sette anni di carcere nel 2002, ma la sentenza non venne eseguita. Morì libero cittadino a quasi 97 anni nel 2006.

Per approfondimenti:

Gianni Oliva, L’ombra nera. Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più, Mondadori 2007.

Valdo Fusi, Fiori rossi al Martinetto, Riccadonna, 2011, ultima ristampa.

Paolo Mazzarello, Quattro ore nelle tenebre, Benedicta, Maledicta, Bompiani 2016.

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