Interessante (e direi avvincente) il libro in cui Carrère ricostruisce le varie fasi del processo ‒ durato dieci mesi ‒ ai responsabili degli attentati parigini del 13 novembre 2015 al Bataclan. Una drammatica sequenza che si focalizza non soltanto sui tragici eventi di quella sera, ma sulle esistenze di coloro che si trovarono ad esserne protagonisti, come vittime o come carnefici (o coadiuvanti). Strazianti le testimonianze dei genitori dei ragazzi e delle ragazze assassinati nel locale o tra i tavoli dei bistrot. E tremendo anche lo sgomento dei genitori di alcuni degli imputati, di cui si ripercorre il processo di radicalizzazione. A partire da una condizione che in genere non è di grave indigenza, e neanche caratterizzata da una forte e convinta pratica religiosa. Adolescenze appena un po’ devianti, tra lavoretti, microdelinquenza, spinelli e bevute. Dove la rabbia e il bisogno di appartenenza si esprimono semmai allo stadio. Poi l’incontro, qualche volta in moschea ma più spesso sui social, con i predicatori e le organizzazioni dell’Islam radicale e la scoperta che è in corso il grande conflitto di cui si potrà essere protagonisti ed eroi (e il vero eroe è il martire). Quindi l’arruolamento in Siria, ecc.

Alcune battute del processo sfiorano il tragicomico (il presidente che sentendo vantare le opere pubbliche dello Stato Islamico obietta «Le decapitazioni, però» si sente rispondere «Voi fate lo stesso. Avete decapitato persino il vostro re!»), mentre altre suonano raggelanti («E gli stupri sistematici delle donne yazide ridotte a schiave sessuali?» «Voi li chiamate stupri, io invece li chiamo programma di natalità»).

Ma tanti i segni di un’umanità che resiste: talora piccoli (come nella vicenda di un imputato minore, poi assolto, che quando riceve in carcere le visite dei figli finge di essere una guardia carceraria, con una pietosa finzione che ricorda a Carrère il Benigni-papà di La vita è bella) e talora grandi o addirittura silenziosamente eroici, come nel caso di Sonia, che è anche lei una poveraccia e una marginale ma trova il coraggio di telefonare alla polizia e impedire che gli attentatori superstiti realizzino un ulteriore attentato ‒ e per questo viene dichiarata deceduta e da allora vive con la famiglia sotto falso nome, nel terrore di essere riconosciuta…

Quanto alla condotta dei giudici, trapela di continuo che il loro compito non era facile. Ma dall’intera conduzione del processo emerge il criterio che li ha ispirati e che potremmo sintetizzare in tre parole: giustizia, non vendetta.

Emmanuel Carrère, V13, Adelphi 2023

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy