All’interno della vasta problematica riguardante la transizione energetica, il futuro dell’auto elettrica è uno dei temi più popolari, perché particolarmente vicino a qualunque cittadino europeo. Spesso le discussioni si accendono sulla rapidità o lentezza con cui le auto elettriche stanno rimpiazzando quelle a motore termico, e su chi ne sia responsabile. Al Bar Sport, poi, non manca chi si compiace di spedire la palla in corner, spiegando che «il problema è un altro: l’obiettivo ultimo consiste nell’abbattere le emissioni di CO2 provocate dalla circolazione di autoveicoli? O è invece quello di ridurre l’impatto ambientale complessivo sapendo che fabbricare un’auto elettrica richiede più CO2 e più materie rare?». Premesso che il maggior inquinamento nella fabbricazione di una batteria (al posto di un serbatoio di benzina, dunque non dell’intera auto elettrica)si compensa dopo 30’000km, che un’auto elettrica ne percorre tra 200.000 e 500.000, e che la durata media di un’auto a motore termico è tra 150.000 e 250.000 km, appare evidente che il bilancio CO2 dell’intero ciclo di vita è velocemente e poi nettamente favorevole all’auto elettrica.

In seno all’Ue c’è consenso politico sulla priorità di ridurre urgentemente le emissioni di CO2 del trasporto persone e merci, che con il 23% delle emissioni di CO2 sta al primo posto in Europa. La riduzione del CO2 è prioritaria sugli altri obiettivi ecologici, in ragione della accelerazione inattesa del cambiamento climatico e dei suoi effetti devastatori. L’auto elettrica si inserisce dunque in un quadro più vasto di elettrificazione del trasporto terrestre di persone e merci, in cui il trasporto su rotaia – che per fortuna in Europa vanta la rete più capillare del mondo – gioca un ruolo essenziale. Un lungo articolo dal titolo Il passaggio all’auto elettrica in Italia, apparso recentemente nella rivista «Il Mulino» cofirmato da Piero Rubino e Sandro Trento, quantifica i possibili tempi (lunghi) di sostituzione del parco automobilistico a motore termico con le auto elettriche. I dati che fornisce sono plausibili e persino probabili. Forse il limite dell’articolo sta nel rimanere nel quadro di una simulazione econometrica degli effetti offerta/domanda in cui le variabili sono: gli incentivi pubblici e il prezzo di vendita. Entrambi sono presentati come un freno: gli incentivi perché costosi, il prezzo di vendita perché speculativamente alto. Per quanto riguarda gli incentivi è stato da tempo dimostrato che sono a costo zero per il fisco (l’abbiamo già constatato diverse volte negli anni passati), in quanto il valore dell’incentivo versato è sempre inferiore a quello dell’Iva incassata sulla vendita di un’auto nuova, che altrimenti non sarebbe stata venduta. Per quanto riguarda il prezzo dell’auto elettrica esso resterà alto fintanto che il prodotto resterà di nicchia, poi scenderà rapidamente. Detto altrimenti: finché i volumi di vendita restano bassi non c’è convenienza a fabbricare delle auto economiche. Tuttavia,oggi il principale freno alla diffusione dell’auto elettrica non è il prezzo (altrimenti non si spiegherebbe perché Tesla sia la marca più venduta nel mondo), ma la disponibilità di punti di ricarica.

Dov’è allora il freno strutturale alla elettrificazione del trasporto su strada? Cercare solo nella direzione dell’industria automobilistica è un modo semplicistico ed autoconsolatorio di dare la caccia al colpevole. Inoltre, non è la buona direzione. L’auto [il furgone, il camion, ecc.] elettrica non è una tecnologia rivoluzionaria, anzi. Telaio, carrozzeria, sospensione, trasmissione, sono vecchi di 135 anni; il motore elettrico anche di più: 190 anni! Dunque, convertire le fabbriche si può fare molto rapidamente. Ma, ci sono almeno due “ma”. In primo luogo, un’auto elettrica ha quasi un terzo in meno di componenti, che vuol dire 40% in meno di manodopera necessaria a fabbricarla. Sono anni che i vertici delle industrie mettono in guardia su questa conseguenza. Chi li ha ascoltati? In Italia solo ora che si prospettano chiusure di fabbriche i sindacati si accorgono del problema. Pianificare la riconversione della manodopera non più necessaria va pensato da subito coinvolgendo tutti gli attori: industria, sindacato, amministrazioni territoriali e statali. Secondo “ma”: tra i componenti dell’auto elettrica, quelli più critici (batteria ed elettronica) non sono disponibili in Europa e quindi ci espongono ad essere dipendenti da fornitori cinesi, africani e nord-americani. Dopo l’esperienza del Covid e del gas russo, chi accetta oggi di far dipendere le nostre scelte di mobilità da paesi che non esitano a ricattarci? Sviluppare la ricerca, l’innovazione e la fabbricazione di componenti strategici in Italia richiede – di nuovo – una visione politica lungimirante e la cooperazione di Università, Industria, Finanziatori, Legislatori.

L’auto che guido quando mi serve

Ecco che abbiamo cominciato a guardare oltre la sola industria dell’auto, e cominciamo a capire che per individuare ‒ e poi eliminare ‒ i freni alla diffusione del trasporto terrestre elettrico dobbiamo passare dall’econometria all’economia, poi all’economia politica e infine alla politica, nel senso più concreto del termine. Il primo freno da togliere sono le infrastrutture. Due anni dopo la chiusura dei rubinetti di Gazprom, l’Europa sta riuscendo a ridurre la dipendenza energetica facendo crescere rapidamente la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, anche se nel breve termine abbiamo dovuto mantenere in funzione un certo numero di centrali a carbone. Fotovoltaico ed eolico, tuttavia, implicano una rivoluzione delle reti di distribuzione: da pochi produttori (le centrali elettriche) che alimentano milioni di consumatori, passiamo a milioni di produttori che scambiano con milioni di consumatori. Per concretizzare questa rivoluzione ci vuole più tempo che quello (già lungo) di montare un’eolica. Le prese di ricarica delle auto elettriche aumentano il numero di punti di consumo, ma installarle è tutt’altro che facile. In una casa di campagna basta aggiungere una presa nel box, ma in un condominio di 70 alloggi senza garage come si fa? Per strada una palina di ricarica toglie due parcheggi per le altre auto. Proviamo a immaginare cosa succederebbe a Torino se in C.so Massimo d’Azeglio si togliessero tutti i parcheggi per sostituirli con paline di ricarica a beneficio dei residenti in palazzi che non hanno garage… Altro che Gilets Jaunes! Capiamo allora che pianificare le infrastrutture per l’elettrificazione del trasporto su strada significa ripensare l’urbanizzazione e la politica del territorio.

Il secondo freno risiede nel modello di mobilità individuale. Si può accelerare la sostituzione del parco termico con quello elettrico, nella misura in cui si pianifica l’evoluzione verso una mobilità che integra diversi mezzi di trasporto. Nel campo delle merci privilegiando l’intermodalità (la Tav per es.) e instaurando regole limitative del trasporto a lunga distanza su strada (prendiamo esempio dal divieto di collegare con un aereo due centri che sono già collegati con un treno in meno di tre ore). Nel campo del trasporto di persone si tratta di offrire una “esclusività” di circolazione ad auto elettriche in condivisione (quelle che puoi prendere direttamente per strada con una app sul telefono e mollare un’ora dopo, quando hai finito di usarla) inserendola in un’offerta integrata di altri mezzi di trasporto collettivo (treno, metro, autobus). Tale esclusività è relativamente facile da realizzare in area urbana, e può anche riuscire in aree turistiche. Per le zone rurali o scarsamente urbanizzate c’è da ripensare una politica del territorio che sappia intelligentemente approfittare delle opportunità offerte dal web per frenare l’esodo. Significa evidentemente cablare in fibra ottica anche i comuni più piccoli, e ripensare quali servizi prioritari debbano essere garantiti come servizi di prossimità, considerando che il maggior costo di un presidio medico rurale è compensato da uno minore di urbanizzazione.

Detto in estrema sintesi: il più logico modello di mobilità per l’auto elettrica, non è «la mia auto in carica sotto casa», ma «l’auto che guido quando mi serve». Dagli anni ’90 esperienze concrete, in diverse aree d’Europa, dimostrano che il pilota e l’acceleratore dell’auto elettrica sono le politiche di programmazione e di sviluppo del territorio. L’industria si adatterà.

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