Nel Polo Teologico di Torino, il 13 marzo, il teologo Giuseppe Lorizio (Università Lateranense, Assistente nazionale del Meic) ha svolto una relazione su Le chiese e la guerra. Bisogna fare teologia anche durante le guerre, e non solo teologia morale. Ma la teologia fa un assordante silenzio, nel dibattito culturale, salvo pochi, come Severino Dianich. La guerra è un tema divisivo. Il vangelo non riguarda solo il singolo, ma i popoli. Papa Francesco parla di «coraggio di negoziare». Gesù non parla solo dell’altra guancia e di riporre la spada, ma, in Luca 14, fa l’esempio di quel re che, vista la propria inferiorità, manda messaggeri a chiedere quali sono le condizioni di pace.

Il papa è stato profetico, Parolin lo ha frenato. La spiritualità non è solo personale. Il concetto biblico di katéchon (2 Tess 2,7), una forza frenante, viene applicato sia al rinvio del ritorno di Cristo, sia a frenare l’Anticristo (anche con la guerra!).

Sulla «guerra giusta» è cambiato il concetto, perché ora la guerra uccide i civili, e tutte le guerre diventano ingiuste. La Gaudium et Spes parlava di legittima difesa [e anche di difesa nonviolenta, alla fine del n. 78, ndr]. Ma deve esserci una proporzionalità, che ora nel caso di Israele non c’è. Il Catechismo parla ancora di guerra giusta, ma lo si può cambiare, nell’era atomica, come è cambiato sulla pena di morte. C’è uno sviluppo della dottrina.

La guerra in corso è naufragio dell’ecumenismo. Le chiese non causano le guerre, ma le giustificano. L’ortodossia russa in Ucraina si è divisa, si è occidentalizzata. Kirill vede l’Occidente corrotto dal protestantesimo, e, nel Concilio, vede il cattolicesimo sempre più protestante, dunque si sente la «terza Roma». Per lui la guerra è un fatto “metafisico”, contro l’Occidente corrotto.

Un grande problema è l’identificazione del cristianesimo con la cultura occidentale. Il declino dell’Occidente sarebbe declino del cristianesimo e dei valori derivati. In guerra si decide e non si pensa, perciò l’Occidente sta con Ucraina e Israele, perché queste guerre sarebbero attacchi all’Occidente. Siamo sicuri di questa identificazione? È linguaggio di vittoria, non di pace.

Si accusa papa Francesco di essere contro l’Occidente. L’Europa, anche per Francesco, non è più cristiana. La chiesa cresce in Africa e altrove. Ma quale cristianesimo si diffonde altrove? Fondamentalista, integralista. Questo interroga la nostra teologia. Il cristianesimo occidentale offre agli altri il vaccino, perché si è purificato dal fondamentalismo nel confronto con la modernità laica, filosofica, politica.

«La superstizione è peggiore dell’ateismo» (Francesco Bacone). Compito teologico dell’Occidente è accompagnare la fede col pensiero critico. Ma i pastori non ascoltano i teologi. La teologia deve uscire dalle sacrestie, deve ricuperare la sua funzione rispetto alla pastorale. Non abbiamo credibilità scientifica se la teologia è solo nelle istituzioni accademiche: il suo ruolo è nella città, nella vita, anche su guerra e pace. È importante il giudizio delle chiese sulla guerra. Continuare a fare teologia sotto Hitler è azione politica, è teologia politica (Barth), come l’opposizione fino al martirio (Bonhoeffer).

L’Europa, diceva Novalis nel 1799, era cristianamente unita, le guerre vengono dalla divisione del cristianesimo. Oltre alle potenze terrene, che non trovano da sole un equilibrio, c’era un potere superiore. Norberto Bobbio, per un pacifismo giuridico, vede la necessità del Terzo (Il Terzo assente, libro del 1989). Ora l’unico terzo rimasto è il papa, non l’Onu, non l’Europa. Lorizio si dice pacifista a oltranza.

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