Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini, Errico Giachino, Eusebio Giambone, Massimo Montano, Giuseppe Perotti erano membri del primo Comitato Militare Regionale Piemontese. Arrestati il 31 marzo 1944 nel Duomo di Torino dalla polizia della Repubblica Sociale, in seguito ad una “soffiata”, furono processati in pochi giorni e condannati a morte. Alle sei del mattino di mercoledì 5 aprile vennero fucilati al poligono di tiro del Martinetto. Esattamente 80 anni fa. Mario Chiavario ci propone un profilo di Franco Balbis in cui si ritrovano fatti storici e ricordi familiari.

Franco Balbis, nato nel 1911, unico figlio di due insegnanti, era capitano di artiglieria, che aveva combattuto senza risparmiarsi nella disastrosa campagna bellica in Nordafrica sino a ricevere, tra le altre, un’alta onorificenza germanica, consegnatagli personalmente dal maresciallo del Reich Erwin Rommel. Già all’indomani dell’8 settembre 1943 – sarà stato il sentimento di fedeltà al giuramento prestato come soldato del regio esercito o, come penso, anche qualcosa di più profondo ‒ si era però unito con convinzione alla Resistenza al nazifascismo, entrando presto a far parte del Comitato militare del C.L.N. piemontese. Dopo la cattura in Duomo e un processo sommario, venne fucilato al poligono del Martinetto il 5 aprile 1944, insieme al Presidente del Comitato, generale Perotti, e ad altri sei componenti dell’organismo, esponenti di vari partiti politici clandestini. A lui, dopo l’arresto, era stato offerto un avanzamento di grado con inquadramento nello Stato maggiore centrale di Salò, purché passasse nelle file repubblichine. Sdegnosamente rifiutò, conscio di firmare così la propria condanna a morte. Nell’ultima lettera scritta al padre prima della fucilazione nessun accento di autoesaltazione, ma, oltre a un’intensa preoccupazione per la mamma, gratitudine, per essergli state indicate dai genitori «una linea di condotta e una vita di rettitudine e di probità», con la richiesta di «perdono per tutti i dolori le sofferenze […] involontariamente arrecate». E, insieme, una forte proclamazione di fede in Dio. In chiusura, con un «Arrivederci Babbo […] nel virile abbraccio degli uomini forti», la richiesta di benedizione. Si narra che, nell’imminenza dell’esecuzione, abbia ancora avuto la forza e lo humour di scandire ad alta voce un’ulteriore “convocazione” del Comitato: per il successivo “giovedì mattina alle otto e trenta al terzo angelo a destra di San Pietro”…

Di Franco Balbis bambino serbava un vivido ricordo mia madre che durante la prima guerra mondiale aveva avuto la sua come insegnante elementare e che mi raccontava come lui fosse presto diventato il beniamino della classe da quando la maestra aveva preso, in qualche occasione, a portarlo con sé a scuola non avendo a chi affidarlo. Negli anni Quaranta (ma, credo, già da prima) la signora Ermelinda Garrone Balbis abitava stabilmente a Cavoretto con il marito e più di una volta, specialmente da quando lo sfollamento ci aveva resi più vicini, con la mia mamma andammo a farle visita, anche per… controllare la mia preparazione all’esame progettato per “farmi saltare” la prima. A un certo punto, però, e prima ancora che mi venisse detto della tragedia, capii che qualcosa era cambiato: infatti, quando mi richiamavano per la merenda dal giardino dove davo sfogo alle mie corsettine e ad altri giochi infantili, vedevo che le guance di entrambe avevano ancora il segno di qualche lacrima; e il volto della signora, a ogni visita, diventava via via più pallido, in contrasto sempre più accentuato con il nero dell’abito che ormai costantemente indossava. Sopravvisse pochissimo a quella terribile prova.

A Franco Balbis (e alla madre) è stata da tempo intitolata la Scuola elementare ‒ oggi, primaria ‒ di Cavoretto. E porta pure il suo nome uno dei ponti che uniscono la riva destra e la riva sinistra del Po.

Mario Chiavario

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