Nel ventesimo mese il conflitto ucraino è improvvisamente scomparso. Non è terminato, ma è stato oscurato. Tutt’a un tratto, la luce dei riflettori si è rivolta altrove, dove un’altra guerra – anche quella mai terminata – è riesplosa con la tremenda deflagrazione del 7 ottobre e con quanto è seguìto. Particolarmente efferato l’attacco di Hamas, anche se poi, nella triste conta delle vittime, i palestinesi hanno come sempre (e di gran lunga) il primato.

Sul piano della politica internazionale, tre fatti risaltano nelle prime settimane del conflitto. Il primo sono le crescenti difficoltà delle Nazioni Unite, non solo ridotte all’ormai consueta impotenza, ma messe direttamente sotto accusa da Israele. Il secondo è lo scompaginamento di alcune alleanze, con la crisi del Patto di Abramo e il plauso di Erdogan ai militanti di Hamas, definiti liberatori (e dire che la Turchia è dopo gli Usa il secondo paese NATO per popolazione e importanza strategica). 

L’ultimo – il più rilevante – è il discorso indirizzato da Biden alla nazione il 19 ottobre, che annuncia un megastanziamento di 105 miliardi di dollari per difendere l’Ucraina, Israele e Taiwan. Cacciari sulla “Stampa” ha espresso dubbi sull’opportunità di tenere aperti contemporaneamente tre fronti: contro la Russia, contro parte del mondo arabo/islamico e contro la Cina. E non era un ragionamento da pacifista: i Romani ‒ che pacifisti non erano, ma di impero se ne intendevano – praticavano il divide et impera.

In margine, a proposito di riflettori massmediatici, va notata la fugace attenzione rivolta alla pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh, che già prima del 7 ottobre era sparito dalla scena. In pochi giorni in centomila hanno abbandonato, forse per sempre, le loro case. Perché tanta disattenzione verso gli armeni cristiani, reduci anch’essi da uno spaventoso genocidio? Risposta: gli azeri sono spalleggiati dalla Turchia e – soprattutto – possiedono ingenti riserve di gas e petrolio: i loro oleodotti e gasdotti soddisfano il nostro fabbisogno energetico. Mica possiamo infastidirli: parliamo d’altro, per favore.

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