L’economia è sempre stata un’attività fondamentale per l’umanità, perché è quella con cui ci procuriamo ciò che ci serve per vivere, ma prima dell’era moderna era ritenuta un impegno disdicevole, non per spiriti elevati, ed era sottoposta alle regole della religione e al volere del potere politico. La rivoluzione industriale ha modificato radicalmente le cose; in breve tempo l’economia ha preso il controllo della società. Non solo materialmente ma anche ideologicamente. Dato l’eccezionale successo della produzione industriale ci siamo convinti che l’economia ci può salvare: ha leggi proprie ed è in grado di autoregolarsi e di raggiungere sempre il miglior equilibrio possibile. Quindi ogni intervento dirigista umano non può che peggiorarne i risultati, data la naturale contraddittorietà dei nostri desideri, l’imperfezione delle nostre conoscenze e la nostra rissosità. L’umanità deve comprendere e seguire le regole economiche se vuole ottenere il meglio sia individuale che sociale.

Mentre facevo queste riflessioni mi è tornato in mente Herbert Marcuse, uno dei filosofi più seguiti da noi contestatori della fine anni 60 inizio 70, e il suo libro L’uomo ad una dimensione: l’essenza del suo pensiero è infatti che l’unica dimensione rimasta all’umanità industrializzata è quella economica.

Certo pensare che si possa fare dell’economia quello che si vuole e ignorare o snobbare le sue regole si è sempre dimostrata un’idea sbagliata, ma affidare a lei fideisticamente il nostro futuro può essere forse anche più pericoloso. Il sistema industriale è in grado di aumentare la quantità e la qualità delle merci, ma genera anche disfunzioni gravi: crea disuguaglianze che non solo non riesce a ridurre ma accresce continuamente, tende ad accentrare la produzione, non tiene conto del consumo e del degrado dell’ambiente in cui lavora.

Il caso Europa

Mi pare che la storia dell’Unione europea sia un chiaro esempio di quanto sto dicendo. All’inizio ci si è occupati del carbone e dell’acciaio, si sono poi aggiunte tutte le altre merci costituendo un mercato comune, e si è arrivati infine a istituire una moneta unica e un sistema bancario integrato. Ma mentre l’attività economica modellava l’Europa, la politica restava sempre più indietro. L’Unione non è riuscita a darsi una Costituzione, gli Istituti che la governano sono deboli e incompleti, durante le competizioni democratiche si confrontano gruppi di potere e non progetti di società, perché le decisioni principali sono state già prese dalle forze economiche. Che differenza tra questa Europa e quella sognata nei campi di detenzione della Seconda guerra mondiale! Possiamo ora capire meglio quali siano i problemi di un’Unione a una sola dimensione, quella economica.

Quel che sta avvenendo nel mondo ha forti analogie con la vicenda dell’Unione europea, anche se è più difficile vederlo data la vastità e diversità delle situazioni. L’economia, negli ultimi 40 anni, attraverso lo sviluppo della produzione e del commercio ha progressivamente unificato il mondo, ma la politica, cioè il nostro modo di intendere e ordinare la vita in società, è rimasta sempre più indietro, incapace di intervenire efficacemente e di fare le scelte necessarie, fino a creare un vuoto che ora appare difficile da colmare.

Penso che un mondo a una sola dimensione non sia degno di noi, non ci possa soddisfare e faccia sempre più difficoltà a progredire, tanto che i grandi successi ottenuti dalle forze economiche non possono essere consolidate e rischiano di regredire ed annullarsi. La responsabilità che abbiamo verso gli altri esseri umani e verso il pianeta che abitiamo e il peso delle scelte conseguenti non possono essere delegate solo all’economia.

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