A proposito delle guerre in corso. Quella in Ucraina, giunta al suo secondo inverno, appare senza sbocco, almeno sui tempi medio-brevi. Sia per i Russi che per gli Ucraini la ‘vittoria’ è lontana. Prima o poi occorrerà restituire la parola ai mediatori e ai diplomatici. Altrimenti si lascerà incancrenire il conflitto, proseguendolo a tempo indefinito, con uno strascico incessante di morti e distruzioni, come avvenuto in Iraq, in Siria, in Libia, nello Yemen, e come avviene nei paesi dell’Africa sahariana. Guerre senza vinti (tranne le popolazioni civili) e senza vincitori (tranne i mercanti di armi). Guerre del tutto incapaci di produrre un nuovo ordine, ma soltanto di seminare l’odio e moltiplicare il disordine, favorendo il terrorismo internazionale.

E forse non si può dire altrettanto della tragica vicenda israelo-palestinese? Su ambedue i fronti hanno prevalso i fautori della prova di forza. Hamas ha archiviato e sepolto le aperture di Arafat e ha preso in ostaggio la popolazione di Gaza, mentre in Israele ha stravinto l’assassino di Rabin: i suoi simpatizzanti sono al governo e sono riusciti a far sì che la soluzione dei Due Stati sia ormai quasi impraticabile. Il risultato è un vicolo cieco, perché su questa strada è evidente che i palestinesi staranno sempre peggio e Israele non avrà mai alcuna sicurezza. 

Morale della favola? Le guerre contemporanee somigliano sempre più spesso al mitico supplizio di Sisifo; o alla pena delle Danaidi, condannate a riempire una botte bucata. Immani disastri e macelli, scarsi o dubbi risultati. Eppure a stento se ne esce, perché l’uso della violenza ci suggerisce un’immagine ingannevole di forza e potere. Frutto di un immaginario – psichico e storico insieme – di cui si servono abilmente i fautori delle guerre.

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