Il 16 luglio abbiamo pianto in molti, ma subito abbiamo sorriso, alla notizia mattutina della morte di Luigi Bettazzi, vescovo costruttore di pace, quindi beato, come dice Gesù in Matteo 5,9. Abbiamo sorriso come certamente ha fatto lui, valicando il colle dalla vita limitata alla vita piena. Sapeva unire ai problemi più gravi, anche drammatici, il sorriso serio, che alleggerisce la paura e sostiene la speranza attiva.
Forse pochi lo conoscono da più tempo di me: dal 1956 o 57, cioè da circa 65 anni, quando era vice-assistente nazionale della Fuci, e io tra i dirigenti centrali, poco più che ventenne. Via via nei decenni, tanti hanno visto fiorire in lui le qualità che allora cominciavamo a riconoscere. Negli ultimi circa 15 anni ha sempre partecipato agli incontri annuali che una dozzina di noi, allora nella Fuci e rimasti collegati in vari impegni, abbiamo realizzato in varie parti d’Italia, da Messina a Torino, Firenze, Roma, ecc. Lo chiamiamo il gruppo “Fuci 60”. Lui veniva sempre, come uno di noi. Almeno una volta ha detto messa in una casa delle nostre. Portava sempre le sue battute, come questa: «Se arrivo a cento anni, sono un prete… secolare!»
Gli ho fatto visita il 3 luglio scorso, dodici giorni fa, quando la sua condizione, fino ad allora buona, si fece seria e critica. Sono molto grato a chi lo assisteva con cura e amore per avermi invitato a vederlo e ascoltarlo. Era fisicamente prostrato ma lucidamente comunicativo e sorridente. Mi ha ripetuto tre volte, nonostante la fatica, perché lo ricordassi bene, un punto che immagino sia nel suo ultimo libro, che dovrebbe uscire presto. Da molto tempo scriveva un libro all’anno per tenersi attivo. Mi ha detto e ribadito questa osservazione: l’ultima cena di Gesù era la cena ebraica, perciò vi partecipavano non solo i dodici apostoli, ma le loro famiglie, le donne e i bambini. C’erano anche le donne, non solo gli apostoli! Voleva che ricordassi bene questa sua sottolineatura. Gli ho portato il saluto e l’affetto degli amici comuni, specialmente di quel gruppo che ora continuerà a riunirsi nella memoria di lui.
Ho un altro ricordo importante, poco noto, che non compare tra i tanti affettuosi e caldi interventi oggi in rete. Nel pieno della pandemia, aprile 2020, le chiese erano chiuse. Qualcuno pensò di fare “eucaristie domestiche”. Erano vere eucaristie? Io scrissi una lettera ai giornali per dire: una soluzione c’è, nell’emergenza eccezionale. Ricordando che, prima dell’invenzione del clero, «tutti i credenti … nelle case spezzavano il pane» ecc. (v. Atti degli apostoli), chiedevo che si riconoscesse ad una comunità familiare la possibilità, volendo, di compiere il «fate questo in memoria di me», come Gesù ha chiesto che facciamo, nella viva memoria di lui. Che sia definito come sacramento o no, non è decisivo: è certamente memoria reale di Gesù risorto, presente con il suo Spirito, come ci ha promesso. Non sarebbe stato un rifiuto dei ministeri riconosciuti, ma una prassi di emergenza, tutt’altro che priva di significato buono e santo. Chiedevo: si avrà il coraggio di andare alla sostanza della fede e della presenza, più che alle forme rituali e alle dottrine?
Mandai la lettera anche a Bettazzi. Fu pubblicata solo da Repubblica, edizione di Torino, il 29 aprile. Nello stesso giorno, don Luigi mi scrisse questa mail: «Carissimo, bene per la lettera. Dovremmo dirlo anche in Amazzonia. Dico sempre che queste eucaristie, impossibilitate ad avere il ministro normale, sono eucaristie di desiderio, equivalenti come il battesimo di desiderio per chi non può avere il battesimo d’acqua. Grazie e auguri, +Luigi Bettazzi».


Al funerale di mons. Bettazzi il 18 luglio, visto in tv, ho preso appunti, come ho potuto, durante il commovente streaming, che ci ha tenuti là presenti, al funerale di Bettazzi, risparmiandoci il caldo del viaggio. Sulla bara di don Luigi c’è il vangelo e la bandiera della pace. Il messaggio di papa Francesco, tramite Parolin, è anche caloroso: sarà bello leggerlo. Un vescovo si fa vento con la mitria ripiegata come un ventaglio: bello! Il vescovo di Torino, Repole, impegnato, non ha potuto venire. Belle le parole introduttive del vescovo attuale di Ivrea! Presiede il cardinale Miglio, che fu successore di Bettazzi come vescovo di Ivrea. Molti avrebbero visto bene che il papa nominasse cardinale Bettazzi, già da tempo. Tutta la liturgia è solenne, ma io la trovo un po’ rigida, tutto prestabilito, una di quelle messe che dico “lette e non dette”, tutte già scritte. Ma le parole aggiunte per l’occasione sono state vere e belle, giuste. Dalla prima lettura memorizzo: “La parola di Dio non è incatenata” (2 Timoteo). C’è anche la guardia d’onore (!): alcuni poliziotti con la sciabola: sul cappello, che appare sullo schermo in primissimo piano, un’aquila che regge una corona(!), e si vede anche per un momento una giovane carabiniera carina. Incenso, inchini, processioni: per me qualcosa di troppo (esagero? chiedo scusa).
Il vangelo è Matteo 16: Gesù appare a Maria Maddalena che lo annuncia a quelli che erano stati con lui. Concelebrano molti vescovi, mi pare una ventina!, e non preti. Si spiega col fatto che il duomo di Ivrea è piccolo. L’omelia di Miglio, cordiale, ricorda la persona di Bettazzi, il lavoro insieme, la montagna (il Cervino), la pace, la giustizia, la Fuci, papa Wojtyla a Ivrea, Tonino Bello, Pellegrino. Dice che Bettazzi ha saputo servire e osare: è vero e giusto! Nella preghiera dei fedeli, simpatico e vivo un nipote, poi solo tre donne: don Luigi ha insegnato che la guerra, anche di difesa, è sempre follia, e che all’io bisogna sostituire il noi, che la Nato è da sciogliere, che la chiesa sia per l’unità di tutti. Si è pregato per la Missione di pace di Zuppi in Usa, e per Pax Christi.
Ho visto e riconosciuto alcune persone amiche: Giuliana, Francesca, Enzo (in abito monastico), Fabio, Renato… Alla fine alcune testimonianze: bella quella del sindaco di Ivrea. Bettazzi un uomo libero, seppe trattare con tutti, pronto anche ad offrirsi come ostaggio in sostituzione di Moro. Il vescovo Ricciuti, presidente di Pax Christi: Bettazzi fu rimproverato anche dentro la chiesa: “Si pensa che ora tu dia meno fastidio da morto. Sei stato criticato o ignorato sulla guerra, sugli armamenti, ma tu ci insegni a osare e sognare!”. Il Cisv, la fraternità di laici che ospita persone senza casa, saluta e ringrazia Luigi, che abitava con loro, e loro lo hanno assistito come un familiare, un nonno per i bambini. Il presidente della chiesa valdese di Ivrea ricorda la lunga collaborazione ecumenica e umanitaria. Infine, abbiamo assistito alla tumulazione, come lui desiderava, nella cappella dei vescovi eporediesi. In uscita, una processione dei celebranti è presto confusa tra i saluti e gli abbracci.

Enrico Peyretti

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