Ho riletto dopo anni Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque. Forse non l’avevo letto bene. È la guerra di cento anni fa, e ora c’è di nuovo la guerra, dopo altre guerre. Forse è peggiore di quella: più armata, più feroce, più pericolosa. Cito solo qualche riga dal cap. VIII. Remarque vede e scambia a volte qualche parola coi russi, prigionieri dei tedeschi, dalla rete di recinzione del campo, durante la guardia: «Nulla so di loro, se non che sono prigionieri di guerra, e ciò appunto mi turba. La loro vita è senza nome e senza colpa. Se sapessi qualcosa di loro, come si chiamano … che cosa aspettano … il mio turbamento avrebbe un senso e potrebbe diventare compassione. Ma così non sento dietro il loro volto se non il dolore della creatura, la tremenda tristezza della vita e la crudeltà degli uomini. Un ordine ha trasformato queste figure silenziose in nemici nostri; un altro ordine potrebbe trasformarli in amici. Intorno a un tavolo un foglio scritto viene firmato da pochi individui che nessuno di noi conosce, e per anni diventa nostro scopo supremo ciò che in ogni altro caso provocherebbe il disprezzo di tutto il mondo e la pena più grave. Chi può più distinguere e giudicare quando vede questi poveri esseri silenziosi coi loro volti di fanciulli e con le loro barbe d’apostoli…  Eppure noi torneremmo a sparare contro di loro ed essi contro di noi, se fossero liberi…».

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