Imperterriti, i sedicenti maestri della realpolitik ripetono a ogni piè sospinto che il conflitto armato non ha alternative di fronte ai gravi soprusi cui da più parti assistiamo. Ne sono talmente convinti che troncano sul nascere qualsiasi discussione, tacciando di ingenuità chiunque osi dissentire. E si appellano al pragmatismo politico di Machiavelli.

Eppure negli Stati Uniti – paese della libera circolazione delle armi, ma in cui il pragmatismo è una cosa seria – i dipartimenti di alcune università lavorano da decenni sulla Resistenza Civile e sulle esperienze di azione nonviolenta, esaminandone modalità e risultati. Di quel lavoro è frutto e testimonianza il libro di Erica Chenoweth Come risolvere i conflitti (sottotitolo: Senza armi e senza odio con la resistenza civile), la cui edizione italiana è presentata in queste settimane nelle nostre città.

Nell’illustrare l’ampia ricerca, l’autrice spiega di essere partita da un iniziale scetticismo sull’efficacia delle pratiche nonviolente. Ma le sue conclusioni confermano quanto già riscontrato in alcuni studi precedenti: nell’arco dell’ultimo secolo, il tasso di successo delle lotte nonviolente è decisamente superiore: pressappoco la metà dei casi, mentre per le lotte armate è all’incirca di un quarto.

Se a ciò aggiungiamo i costi minori sul piano umano ed economico, e il rischio incommensurabile della catastrofe atomica, c’è motivo di interrogarsi. E se anche soltanto una piccola parte degli enormi investimenti destinati all’apparato militare fosse dirottata verso la preparazione di un’efficiente Difesa Popolare Nonviolenta, qualcosa comincerebbe a cambiare.

Erica Chenoweth, Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile, Sonda 2023

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