Chi scrive ha una lunga storia di appassionata cinefila –  cinema impegnato, europeo o asiatico, complesso – ma, per ragioni biografiche, le sale cinematografiche vedono più sporadicamente la mia presenza e, in qui casi, proiettano cartoni animati. Eppure anche i cartoni animati possono offrire delle sorprese e quindi vi propongo una lettura dell’ultima produzione Disney, Wish.

Siamo in uno dei soliti regni incantati e abbiamo di fronte un re, Magnifico, all’apparenza pieno di virtù: è un mago buono, che custodisce i sogni degli abitanti del regno e ogni mese ne realizza uno, in una grande manifestazione a cui partecipa tutta la popolazione. Tutti lo amano, tutti credono che il loro regno sia il più fortunato e felice del mondo, tutti vogliono lavorare per lui, compresa Asha, una giovane ed entusiasta ragazza, che si candida come assistente del Re Magnifico. La buona volontà e l’entusiasmo di Asha sono così trascinanti che il Re la porta nella stanza dove custodisce i sogni dei suoi sudditi, con il sottofondo di una delle tante canzoni zuccherose che tanto piacciono agli sceneggiatori Disney. Ma questo è un momento rivelatore: Asha scopre che il Re censura i sogni “pericolosi”, quelli che potrebbero portare dei cambiamenti, e realizza solo quelli innocui, come imparare a essere la sarta migliore del regno o sciocchezze simili. Inizia un grande dibattito: Asha ritiene che il Re dovrebbe restituire i sogni che non vuole realizzare ma – e qui è il climax della discussione – è proprio quello che il Re non farà mai: quando un suddito affida al re il suo sogno, infatti, lo dimentica (“amnesia senza nostalgia”), “si libera di un peso”, lo affida ma, al contempo, non saprà mai quali sono le sue aspirazioni più profonde.

Qui si apre un primo punto interessante del film: non ci ricordano niente sovrani belli, piacenti nei confronti del popolo, capaci (a parole) di realizzare tutti i sogni ma capaci alla fine di fare solo quello che per sé è conveniente? Non ci ricorda nulla una società che si fa imbonire dai falsi desideri e accantona i propri, incapaci di indagare la propria coscienza in profondità perché distolta dal grande intrattenimento di massa?

Il secondo aspetto che ha colto la mia attenzione è che l’eroina non ha un solo aiutante, come la maggior parte delle fiabe mette in scena, ma un intero gruppo di supporto, molto attento agli equilibri e alla presentazione delle minoranze: vi è una fanciulla sgraziata e disabile, un giovane petulante e dissacrante, una ragazza introversa e un ragazzo chiacchierone, una afro-americana e un super biondo. Ed è proprio la forza del gruppo che è in grado di rompere il maleficio. L’atto di liberazione è collettivo, parte sì dalla spinta (in questo caso le note di un’altra canzone zuccherosa) di Asha e, subito dopo, dei suoi amici, ma diventa effettivo quando tutto il popolo canta a una voce contro l’usurpatore, mettendo in scena non tanto la lotta contro di lui quanto la forza della loro identità e della possibilità di liberarsi dal male. Il popolo riprende i suoi sogni e imprigiona il re nel suo stesso maleficio.

Il terzo tassello ha meno effetti speciali ma è ugualmente da mettere in evidenza: la regina che prende il posto di Magnifico decide di continuare ad aiutare il popolo a realizzare i sogni ma in un modo diverso: fa conoscere le persone che vogliono realizzare cose simili e si mette a loro disposizione se ci fosse bisogno di aiuto per realizzarli. Una lezione di empowerment e di esercizio responsabile del potere che è elegante e discreto, e quanto mai necessario.

Non ho remore a dire che Wish è un film politico e militante, che mette in evidenza i rischi della tensione tra comunicazione e politica del mondo contemporanea, che si schiera contro il paternalismo del potere che pretende di sapere quello che serve alla società, che valorizza l’importanza dell’impegno e dell’entusiasmo delle persone che sanno mettersi insieme per il bene comune. E lo fa con animali parlanti, piccole stelle luccicanti, canzoncine struggenti.

Una chiosa finale: vi è un personaggio che all’inizio fa parte dei ragazzi amici della protagonista per poi tradirli e allinearsi al re. Si tratta del giovane più innocuo, più buono, più banale di tutti. Banale non è un aggettivo che ho scelto a casa: il personaggio di Simone mi ha ricordato la “banalità del male” di cui ci ha parlato Arendt, portata avanti da coloro che scelgono di allinearsi al potere per un piccolo vantaggio personale, perché è il potere dominante, perché non sta facendo niente di male.

Guardiamo allora la stella protagonista di questo film, la piccola Star, e facciamola risuonare in noi: sia mai che si risvegli un poco di sana passione politica.

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