Un imprenditore medita di trasferire all’estero la propria azienda e valuta i profitti dell’operazione senza metterne al corrente i lavoratori; i quali, tuttavia, vengono a conoscenza del progetto e si mobilitano, esprimendo allarme e preoccupazione per l’incertezza del loro futuro. Una bambina – di ritorno dalla scuola dove ha seguito una lezione di educazione ambientale ‒ istruisce puntualmente i genitori sulla raccolta differenziata dei rifiuti e li rimprovera per le inadempienze. Un ragazzo entra nel giro del gioco d’azzardo, si ritrova indebitato sino al collo e diventa preda degli usurai, finché ha il coraggio di confidarsi con i familiari che lo aiutano a venirne fuori. La proprietaria di un locale di ristorazione subisce gli attacchi ingiustificati e sleali di una persecuzione via social, che crea un notevole danno alla sua attività. Un ragazzo di periferia, attratto dal miraggio dei guadagni facili, diventa un piccolo boss della camorra e si vede costretto a proseguire su una strada da cui ora vorrebbe uscire. Un ragazzino delle medie è vittima del bullismo dei coetanei, mentre una sua compagna rischia di rovinarsi la vita perché attratta dalle challenge estreme. Un marito prepotente trattiene la moglie dalla separazione con la minaccia di toglierle il figlio, sino a che un avvocato la rende consapevole dei suoi diritti. Una donna, per tenere legato a sé il proprio amante, ricorre a una maternità surrogata che tuttavia non salva la sua relazione, mentre la madre naturale richiede il bambino che aveva venduto. In un periodo difficile, una giovane donna cade nella dipendenza dalla cocaina: si illude invano di uscirne con la sua volontà, ma le occorrerà affidarsi a una comunità terapeutica.

Sono alcuni frammenti delle vicende portate recentemente sui teleschermi dalla più storica delle nostre “serie tv”, Un posto al sole, in onda sulla Rai dal 1996. Oltre 6000 puntate, oramai: un fluviale romanzo d’appendice, che ha visto invecchiare nel corso dei decenni alcuni degli attori protagonisti. Ma anche uno spaccato della società contemporanea e – a suo modo – un prezioso strumento pedagogico, capace di entrare in tutte le case in primissima serata e di svolgere una funzione civile: evidenziando problemi e fornendo utili informazioni e indicazioni, che si parli di parità femminile o di mafia, di sussidi sociali o di scuola, di tutela ambientale o di droghe o di carcere. Sorprendente, per chi come me – generalizzando ‒ considerava le telenovele un intrattenimento mediocre per casalinghe più o meno disperate.

Alla funzione pedagogica concorre l’antico (e illustre) espediente della “giustizia poetica”, di matrice addirittura aristotelica: alla fine, dopo molte sofferenze, i buoni vengono premiati; e i cattivi, dopo apparenti successi, puniti (o, per dirla meglio, le buone pratiche si rivelano col tempo più vantaggiose dei comportamenti egoisti o disonesti). Ma gli sceneggiatori evitano anche la banalità del “politicamente corretto” e dei suoi stereotipi rovesciati. Ad esempio, mentre si dà spazio alle relazioni omosessuali e si mettono in scena le gravi persistenze dell’omofobia, non si appiattisce l’immagine del gay nel cliché della vittima, ma se ne presentano varie figure, assai diverse tra loro, con luci e ombre. Com’è naturale che sia, di là dai luoghi comuni.

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