Costanza Miriano è una giornalista Rai, saggista e blogger, moglie fedele e madre di quattro figli, granitica cattolica fervente, «convinta che in cielo si vada solo per raccomandazione». A me risulta molto poco gradevole per il modo con cui esprime i suoi pensieri sulla fede. Pensieri, sia chiaro, che ha il più che legittimo diritto di elaborare e di dichiarare in pubblico. Per cui, con certezza darei la vita perché possa dire ciò su cui non sono d’accordo.

Tuttavia, trovo urtante la sua saccenza da maestrina spocchiosa, da sposa sottomessa al marito (ha elaborato queste argomentazioni in un libro apparso nel 2011). Utilizza l’alabarda del catechismo e della Verità (con la v maiuscola, molto impegnativa) e pure del Vangelo per assegnare o meno la patente di ortodossia rispetto alla Chiesa, mettendo nel tritacarne vescovi, religiosi, sacerdoti. Lo fa ormai da anni. Nel mirino finisce chiunque non sia degno, a suo dire, d’interpretare la fede perché interpreta la misericordia.

Solite tiritere, nulla di nuovo. Perciò, non intendo dar troppo peso a questa signora o ai suoi colleghi talvolta ancor più feroci che abbaiano di rimando dalle colonne di siti come la «Nuova Bussola Quotidiana». «Non ragioniam di loro, ma guarda e passa», ci suggeriva il Sommo Poeta. Resta un premuroso consiglio. Tuttavia, qualche riflessione può essere opportuna. Perché sono tutti segnali di una (forse) sparuta, ma rumorosissima compagine che dà voce a un cattolicesimo retrivo, apparentemente puro e lindo, ma falso e ipocrita. È un fenomeno che non va sottovalutato, perché interpreta più di quanto si pensi la pancia di molti credenti: sull’immigrazione (perché occuparci di loro e non di noi?), sulla pace (armiamoci e partiamo, altro che storie), sull’omosessualità e sulle coppie di fatto (che cos’è questo schifo?).

Un gran bisogno di ancoraggi

In genere, madonna (m minuscola) Costanza si agitasui social o sul suo blog che poi rilancia, quando la curva della disattenzione nei suoi confronti, questa è l’impressione, tende pericolosamente al basso. Cosicché –e dovrebbe assumersene la civica responsabilità –fa emergere dai bassifondi online i peggiori leoni da tastiera, che si esprimono con livore contro i vari bersagli, tra cui sovente Papa Bergoglio. Sbavando giudizi velenosi e odio, che sono atteggiamenti, com’è noto, squisitamente cristiani. «È l’online, bellezza, e tu non puoi farci niente. Niente», potremmo parafrasare Humphrey Bogart, il famoso Ed Hutcheson di Deadline, pellicola del 1952 molto cara a noi boomer, con il titolo italiano L’ultima minaccia.

Qualcosa, in realtà, si potrebbe fare. Se non altro per disinnescare certi modi di ragionare e, soprattutto, di discutere. Per certi versi, mi sembrano più coerenti di Costanza (c maiuscola, nome proprio) i suoi ormai anziani e sciupati colleghi giornalisti Aldo Maria Valli e Marco Tosatti, che con costanza (c minuscola, sostantivo), si cimentano nell’esercizio quotidiano dell’apocalisse sulla dissoluzione della Chiesa ormai in mano dell’Anticristo. Talvolta, poi, andate a curiosare, riesumano anche la caricaturale figura dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, delirante cheerleader dell’antiabortista Donald Trump, noto statista americano, integerrimo padre e sposo, ex presidente americano che, pare, riproverà in novembre a riconquistare la Casa Bianca. Non so se si rendono conto, ma tant’è.

Alcuni giorni fa l’inflessibile giornalista Rai (ma si lavora nell’aziendona di Stato?) se l’è presa con il prete che guida le Edizioni San Paolo, il reverendo Simone Bruno, e con il vicario episcopale di Bologna don Davide Baraldi, in quanto il prossimo 6 aprile presenteranno il volume Siamo sempre una famiglia?, troppo aperto e possibilista sulle unioni omosessuali e le benedizioni. Questo è solo l’ultimo episodio, ma ce ne saranno altri, non temete.

Io penso che la Chiesa dovrebbe preoccuparsi di questa corrente carsica malmostosa. È segno di un disagio crescente, silenzioso, perché con le sempre maggiori incertezze che viviamo sul futuro, indicano che c’è un gran bisogno di ancoraggi. Ma bisognerebbe spiegare che i porti sicuri non sono le talari dei giovani sacerdoti con le mani giunte, amanti del latino, dei pizzi e dei merletti (una caterva nella vicina Francia, ma anche nei nostri seminari non andiamo meglio). Non dà maggior sicurezza la morale guardona che si è sempre occupata dalla cintola in giù e non di altro. E non è certo il devozionalismo ai confini con la superstizione che ci porterà fuori dal guado di questi tempi.

La fragilità non si combatte chiudendosi nelle armature. Anche perché, fateci caso, quasi sempre i più acerrimi fustigatori della sodomia sono proprio i sacerdoti – nei casi migliori – che sono orientati all’omosessualità. E i più convinti sostenitori della fede di altri tempi sono volentieri degli abusatori psicologici. Un po’ come i politici difensori della famiglia, che nei fatti praticano con costanza (c minuscola, rigorosamente) il bunga-bunga. Eppure, in tanti benpensanti cattolici si fanno prendere in braccio come dei polli.

«Non ragioniam di loro, ma guarda e passa». Siamo all’inferno, va bene, al canto terzo, e Virgilio ha le sue buone ragioni di guida. Ritengo, però, che dovremmo ragionare di più su queste nodosità. Possono essere la punta di un iceberg e sappiamo com’è andata a finire con il Titanic. Dobbiamo vederli arrivare e prevenire. Ma è troppo tardi o c’è ancora margine per comunità ecclesiali in grado di interpretare evangelicamente questo difficile tempo degli algoritmi?

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