Gesù viene chiamato da un capo della sinagoga al capezzale della figlia morente (ma non morta). Durante il cammino c’è l’intermezzo dell’emorroissa (che soffriva di perdite di sangue), che sfiora pericolosamente la magia: essa infatti, con tutta la folla accalcata attorno a Gesù, ritiene di guarire toccando anche di sfuggita le sue vesti. Se (come è stato scritto) i vangeli sono un racconto della passione con una lunga introduzione, allora in Marco nella vasta introduzione c’è una valanga di guarigioni (con o senza esorcismi), praticamente una in ogni capitolo in maniera eccessiva (anche se affascinava i destinatari romani): indemoniato e lebbroso nel cap. 1°, il paralitico nel 2°, l’uomo dalla mano inaridita nel 3°, l’indemoniato geraseno, l’emorroissa e la figlia di Giairo nel 5°, nel paese di Genesaret nel 6°, la vedova fenicia e il sordomuto nel 7°, il cieco di Betsaida nell’8°, l’epilettico indemoniato nel 9°, il cieco di Gerico nel 10° alle porte di Gerusalemme, in cui appunto finiscono solo prima della passione.

Dalla tempesta sedata di domenica scorsa che chiude il quarto capitolo, il lezionario è passato a Giairo, saltando forse saggiamente il lungo racconto dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20 che non verrà letto quest’anno); si tratta della possessione diabolica più brutale e violenta: spezza le catene e infrange i ceppi per tenerlo legato e domato; gridava e si percuoteva con le pietre, con la sua dimora nel girovagare fra le tombe. In Matteo 8,28 gli indemoniati sono addirittura due usciti dai sepolcri: è un’allusione alla rievocazione dei defunti nello spiritismo? Si getta ai piedi di Gesù ma non è lui che parla bensì la legione [i latinismi li vedremo  prossimamente]: mentre nel Marco I originario vige il segreto messianico che sarà svelato solo in connessione con la passione, il Marco II (come già rilevato nel vangelo della 4a domenica il 28 gennaio) lo viola da subito (Mc 1,23ss), ma solo in bocca ai demoni: solo loro riconoscono l’identità di Gesù come qui in 5,7: «figlio del Dio altissimo, ti scongiuro “in nome di Dio” (sic, quasi ridicolo l’appello a Dio) di non tormentarmi».

Ma l’evento avviene in montagna, in un luogo isolato e deserto; dato che per certi fatti importanti occorreva la testimonianza di almeno due uomini (maschi), chi ci poteva essere a testimoniare se non dei mandriani al pascolo coi loro porci forse in transumanza? I mandriani sono solo dei testimoni, e per di più terrorizzati.

Ma il Marco II ha approfittato della mandria per inserire la follia (imperdonabile) del trasferimento degli spiriti immondi (addirittura col permesso di Gesù!!) nei porci facendo perire nel lago 2000 poveri maiali! Siamo nel satanismo più bieco; il racconto non è gioioso, ma pauroso tanto che sia i mandriani sia gli abitanti della regione, intimoriti,  pregano Gesù di andarsene (di togliersi dai piedi). Il Marco II, questa volta con un’aggiunta felice, rimedia al terrore degli abitanti con la gioia dell’indemoniato che proclama per tutta la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto suscitando ammirazione e meraviglia (nella conclusione di 5,20).

Passando al vangelo odierno immediatamente seguente, Gesù viene chiamato da Giairo, con l’intermezzo dell’emorroissa (dicevamo di stampo magico); siamo passati dal satanismo e dallo spiritismo alla magia. Gesù infatti, avvertita la forza che era uscita da lui quasi in automatico, dice: «chi mi ha toccato il mantello?» (5,30).

Il buon Matteo (9,20-22) ha visto il pericolo magico e saggiamente ha “tagliato” tutto, senza quello stravagante «chi mi ha toccato?», che suscita la reazione incredula dei discepoli con tutta quella folla che si stringeva intorno a Gesù (5,31).

Ha tagliando corto passando subito alla guarigione, e soprattutto alla bella conclusione presente peraltro in tutti e tre i sinottici (le uniche parole che si salvano): «Figlia, va’ in pace e sii guarita del tuo male» (Mc 5,34 e par.). Fra l’altro la cosa non era gradita da Gesù che chiede spesso una barca per salirvi e parlare alle folle dalla riva (come all’inizio del vangelo odierno), per evitare di essere sommerso e strattonato (soprattutto dai malati).

In questo cap. 5 di Marco ci sono degli imbarazzanti “teletrasporti” satanico-magici (il passaggio dei demoni nei porci, la potenza che esce da Gesù senza che egli l’abbia decisa). Si dice giustamente che bisogna demitizzare interpretando: ma cosa c’è da interpretare nel trasferimento della legione da un uomo negli animali, o in un Gesù mago a sua insaputa senza l’autocontrollo delle proprie energie? Gesù non è un amuleto magico che, toccandolo o facendosi da lui toccare, guarisce istantaneamente, come il sordomuto (Mc 7,32ss, che leggeremo nella 23a domenica in settembre) o il cieco di Betsaida (8,22ss) sputandogli rispettivamente nelle orecchie (lingua) e negli occhi! Sono magie anche il camminare sull’acqua, la sua trasformazione in vino, come pure la moltiplicazione dei pani che leggeremo durante l’estate nella versione giovannea. Ma Gesù non è uno sciamano che domina gli spiriti, un guaritore che sputa negli occhi, o un “illusionista” che amplifica a dismisura del materiale organico (pane) o addirittura fa sparire se stesso come in Lc 4,30 quando si sottrae alla furia omicida dei suoi compaesani.

Pensando anche alle giovani generazioni che stiamo perdendo, ovviamente un certo numero saranno pure affascinate dal satanismo e dalla magia, ma si tratterebbe di un’attrazione perversa di tradizionalisti reazionari (compreso un certo numero di preti giovani), che rischia di portare alla dissoluzione del cristianesimo.

Venendo alla figlia di Giairo, risulta centrale e decisiva l’affermazione di Gesù: «La fanciulla non è morta, ma dorme». Perché non prendere questa frase in senso reale e non metaforico? Ossia che la dodicenne si trovava in uno stato di coma (o simili); chi ritiene che la ragazza di Giairo fosse veramente morta, e che la parola di Gesù sia un errore o un’allegoria o una battuta, non coglie il significato originario del primo narratore scambiando una sorta di coma per una morte vera. Spesso si trattava di rianimazioni di persone prossime alla morte, sovente non coscienti, o che soffrivano di malattie mortali (come la lebbra, la cui guarigione è equiparata a una resurrezione in 2Re5,7).

Per gli antichi il confine tra morte e vita era diverso da noi moderni, in cui la morte vera è quella cerebrale, per cui una persona in coma è ancora viva. Per le concezioni dell’epoca una persona immobile, insensibile e incosciente poteva già essere considerata morta; ricordiamo che il limite di sopravvivenza senza essere reidratati è intorno ai 5 giorni. Diversamente da oggi, in cui una persona viene reidratata e curata, allora se uno in coma non si svegliava nel giro di 4 giorni per alimentarsi, sarebbe morto (nel nostro senso). Non è un caso che Gesù ordini perentoriamente di darle da mangiare (ribadendo fra l’altro con insistenza il segreto messianico che nessuno venisse a saperlo).

Possiamo interpretare la malattia della figlia di Giairo come uno stato di coma che loro hanno considerato già come un decesso. Di conseguenza la rianimazione di Gesù è stata trasformata in una resurrezione della fanciulla. Riteniamo ontologicamente impossibile la ritorno alla vita naturale (resurrezione) di una persona morta cerebralmente, ma il risveglio dal coma è scientificamente reversibile: infatti lo facciamo pure noi oggi col sapere medico. Certo allora, in cui non esistevano le tecniche moderne di idratazione e rianimazione, è stato l’indubbio segno di una forza (quasi) sovrumana, ma metafisicamente possibile.

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