Riceviamo da Giovanni Ferretti della Facoltà teologica di Torino questo intervento che volentieri pubblichiamo.

Cara redazione, del testo di Pedrazzoli sul Corpus Domini condivido la lettura non sacrificale della Eucaristia e anche della Croce (i protestanti in generale criticano la prima, tradizionalmente dei cattolici, ma sono fermi nel sostenere la seconda), soprattutto se intesa come sacrificio espiatorio nel senso proposto da sant’Anselmo, ovvero quale soddisfazione in sangue da dare a Dio al posto nostro, per riparare l’offesa dei peccati e ottenerci il perdono. L’unica categoria di sacrificio che Pedrazzoli sembra aver presente nella sua critica, anche se nel NT il sacrificio presenta altre configurazioni.

Resto però molto perplesso circa il suo uso teologico e liturgico del metodo storico-critico, anche se lo applica correttamente in quanto tale al nostro caso. Le sue conclusioni quanto alla genesi letteraria del testo di Marco sulla “istituzione” dell’Eucaristia si ritrovano tali e quali anche nella celebre Synopse des quatre vangile di P. Benoit e M.-È. Boismard, che normalmente consulto a tale scopo.

Mi stupisce, ad esempio, la certezza di raggiungere, risalendo a fonti o redazioni più originali dei Vangeli (fonte Q o primo Marco) la cronaca dei fatti e della parole precise di Gesù, da ritenere le uniche normative per noi oggi. Come se le prime stesure letterarie delle tradizioni evangeliche fossero resoconti storici nel senso odierno e non anch’esse annunci di fede, e della fede quale interpretazione dell’intera vicenda di Gesù, e soprattutto della sua morte scandalosa, alla luce della risurrezione e del dono dello Spirito. Come se, quali corrette espressioni della fede da cui è nato il cristianesimo, il primo Marco fosse più affidabile di Paolo o degli altri evangelisti. Senza contare che Paolo, probabilmente, scrivendo nella Prima Corinti della istituzione dell’Eucaristia, ha scritto prima di lui o forse ha tramandato un kerigma ancor più primitivo della fonte Q da cui attinge Marco. Ma al di là di questo discutibile primato letterario, forse che entrambi non cercavano di spiegare il senso della cena eucaristica, lo “spezzare il pane” che caratterizzava fin dai primordi la prassi della comunità cristiana ed era in uso già prima di loro?

Le mie perplessità su questo uso del metodo storico-critico derivano poi dal presupposto che anima alcuni suoi utilizzatori, come qui Pedrazzoli (ma non gli esegeti Benoit e Boismard sopra citati), di considerare inventato ed eliminabile tutto ciò che non risulta letterariamente primitivo o addirittura attribuibile direttamente a Gesù, come se tutto ciò che nel NT è venuto dopo non fosse un’interpretazione che penetra sempre più profondamente nel mistero della vita e morte di Gesù (che non cessiamo di approfondire ancora noi oggi) e che il NT ha fissato in modo paradigmatico per la fede della comunità cristiana.

Quanto al voler escludere la menzione del sangue dalla nostra Eucaristia, perché sarebbe fuorviante del suo senso, mi sembra una proposta molto strana: forse che il corpo di Cristo in croce non ha versato il suo sangue? Il gesto di Gesù nell’ultima Cena è generalmente a giusto titolo inteso come un’anticipata interpretazione simbolica del senso della croce. «Corpo dato e sangue versato per voi, per amore vostro». Non certo per soddisfare la giustizia punitiva del Padre. Ma per essere fedele alla testimonianza del suo amore incondizionato, che continua ad amare anche i nemici che lo mettono in croce La nostra prassi eucaristica non è forse il memoriale di tale dono della vita per amore?

Che quel «per voi» non sia da intendere in senso sacrificale, non significa che la morte in croce di Cristo, conclusione della sua intera vita, non sia da ritenere la fonte della nostra salvezza, come nelle primitive espressioni del Kerygma cristiano. Morte non voluta né da Gesù né dal Padre, ma affrontata in quel modo per non tradire il messaggio di amore e non violenza di Dio, che si mantiene anche nel portare su di sé il rifiuto e la ingiustizia più violenta. Da questa interpretazione della croce è nata la fede cristiana e si radica anche la nostra fede.

Che poi alcuni scrittori del NT abbiano interpretato quell’evento con le categorie del sacrificio non ci deve stupire. Erano le più a portata di mano per interpretare un evento così inatteso e di difficile comprensione con le loro categorie. Anche se da subito le hanno profondamente modificate per adeguarle all’evento storico reale della passione e morte di Gesù in croce. E non sono mancate altre categorie interpretative, come in Giovanni, che mai usa la categoria di sacrificio ma, ad esempio, quella di “donare la vita” per gli amici come espressione dell’amore più grande o quella di martirio.

Oggi i teologi più avvertiti, per salvare la categoria di sacrificio (o forse solo il nome tradizionale?), dicono che la croce va intesa come sacrificio perché in essa si è raggiunto quel fine di comunione o alleanza con Dio cui tendevano i sacrifici antichi. Ma in essa non andrebbe vista alcuna mentalità sacrificale, che intende la sofferenza come meritoria, gradita a Dio o espiatoria come tale. La croce infatti, anche per tali teologi, va intesa come un puro dono di amore, espressione di grazia e perdono donati gratuitamente e non “meritati”.

Non ho difficoltà ad accogliere questa interpretazione del sacrificio della croce, e della Cena che ne esprime il senso, anche se mi sembra che non sia sufficiente dire che se un’azione raggiunge lo stesso fine dei sacrifici antichi sia per già stesso un sacrificio. Lo stesso fine si può raggiungere infatti anche per altre vie, come mi pare sia avvenuto in Gesù. Non per nulla nei racconti della passione e morte di Gesù non vi è alcun cenno a una interpretazione sacrificale della sua morte, anche se ben si descrive come l’abbia affrontata, senza ribellione né odio, ma perdonando i crocifissori, certo di fare così la volontà di Dio che – come già detto ‒ non riguarda certamente la volontà di quella morte ingiusta e crudele ma la volontà di quella testimonianza del suo amore incondizionato.

Scusatemi la lunghezza della risposta e una certa confusione espositiva.

Sulla Eucaristia come evento non “fisico” ma reale ho scritto nel capitolo “Secolarizzazione ed Eucaristia” del mio libro Il grande compito. Tradurre la fede nello spazio pubblico secolare (Cittadella 2013, pp. 89-115), dove ripenso le classiche categorie eucaristiche di “presenza reale”, “transustanziazione” e “sacrificio”. Sulla croce come evento non sacrificale, ho scritto nel capitolo “Salvati a caro prezzo? Per un ‘superamento’ della categoria di sacrificio”, nel mio Spiritualità cristiana nel mondo moderno. Per un superamento della mentalità sacrificale (Cittadella 2016, pp. 81-128).

Un cordiale e amichevole abbraccio.

Giovanni Ferretti

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